XIII.
Possibile, sarebbe finalmente questa la cosa possibile, che si spenga questo nero nulla dalle ombre impossibili, questa finalmente la cosa fattibile, che l’infattibile finisca e il silenzio taccia, lei se lo chiede, questa voce che è silenzio, o è me, come saperlo, il mio io di due lettere, sono sogni, silenzi che si equivalgono, lei e io, lei e lui, io e lui, e tutti i nostri, e tutti i loro, e tutti i loro, ma di chi, sogni di chi, silenzi di chi, vecchie domande, ultime domande, di noi che siamo sogno e silenzio, ma è finita, siamo finiti, noi che non fummo mai, non ci sarà più niente dove non ci fu mai niente, ultime immagini. E chi, a ogni muto milionesimo di sillaba, e inestinguibile infinito che si scava di rimorsi, morso dentro morso, ha vergogna di dover ascoltare, di dover dire, di qua dal menomo sussurro, tante menzogne, tante volte la stessa menzogna e bugiardamente smentita, di chi è questo silenzio urlante che è piaga di si e coltello di no, lei se lo chiede. Ma il desiderio di sapere, che ne è successo, lei se lo chiede, non c’è, la voglia non c’è, il cervello non c’è, nessuno sente nulla, chiede nulla, cerca nulla, dice nulla, ode nulla, è silenzio. Non è vero, si è vero, è vero e non è vero, è silenzio e non è silenzio, non c’è nessuno e c’è qualcuno, niente impedisce niente. E la voce, la vecchia voce languente, potrebbe finalmente tacere, e non sarebbe vero, come non è vero che parla, non può parlare, non può tacere. E se ci fosse anche un giorno qui, dove non ci sono giorni, in questo luogo che non è un luogo, l’infattibile essere, nato dall’impossibile voce, e un barlume di giorno, tutto sarebbe silenzioso e vuoto e buio, come adesso, come tra breve, quando tutto sarà finito, tutto detto, dice lei, bisbiglia.
(Samuel Beckett)