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cette fin du monde de poche s’exprimait tout entière dans la syllabe fragm (Michel Leiris)

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GHERASIM LUCA / Yannick Torlini

Posted by alfredo riponi su settembre 17, 2012

GHERASIM LUCA, LE POETE DE LA VOIX: ONTOLOGIE ET EROTISME / Yannick Torlini / L’Harmattan 2011

Segnalo un bel libro per avvicinare l’opera di Ghérasim Luca: Yannick Torlini “Ghérasim Luca, le poète de la voix: ontologie et érotisme”.

Se l’uomo “è” nel mondo attraverso il linguaggio, il poema che infrange le regole linguistiche, pone la “questione ontologica”. La reinvenzione della lingua nel poema reinventa anche la relazione con l’Altro, nell’instabilità dell’erotismo.
«La poesia che ricrea l’essere attraverso il suono è ontofonia» (p.14). Due parole chiave per l’opera di Ghérasim Luca: silensofono e ontofonia. Colui che schiude la parola schiude la materia. Aprire una breccia nella parola, liberare il senso, significa scardinare la realtà, trasmutarla. «È per ciò che pensiamo che tutta la poesia di Ghérasim Luca è un atto ontologico: un reinvenzione di sé che passa dalla voce e dalla reinvenzione della lingua (perché esistiamo soltanto attraverso la lingua) dove il proferire diventa un atto creatore. La poesia di Luca tenta così di sottrarsi al determinismo dello schema edipico che struttura l’individuo e lo definisce fin dalla sua nascita: scrivere, distorcere la lingua, proferire poemi, è allora creazione del ‘non-Edipo’» (p.15).
Il reale ha una dimensione angosciante che solo la sragione unita all’humour può ridurre, anche se non colmare. «Quest’idea si scorge nel poema ‘Ma déraison d’être’ dove l’humour traspare nel processo meccanico di reduplicazione del numero di gambe della ‘disperazione’: ‘la disperazione ha tre paia di gambe / la disperazione ha quattro paia di gambe…’ Qui lo scopo è proprio di ridurre l’impatto della disperazione attraverso questo procedimento meccanico di moltiplicazione del numero di gambe.» (p. 27).
La volontà di uscire da ogni codice letterario e parola d’ordine (surrealista) – scrive Torlini – si trova, per la prima volta, nel rivoluzionario poema ‘passionnément’. «Il campo poetico è oramai aperto, l’uscita dai codici comporta l’uscire dalla lingua e la preminenza data al suono: il messaggio non sarà più veicolato dalla frase ma unicamente dagli scivolamenti/collisioni sonore di fonemi, permettendo così un’apertura del senso del poema attraverso la destrutturazione della lingua» (p. 40).
Se la lingua è destrutturata, senso-suono e suono-senso non sono più bi-univoci «iscritti sulle pareti di un cervello invertito» (Artaud), ma la parola è soltanto «vibrazione sonora solidificata» del corpo, sua eco, ontologicamente un eco d’essere. «Paradossalmente la poesia di Luca cerca, attraverso il nonsenso e la perdita dei riferimenti, di diventare senso, di dare un senso più vero alle cose, più vero perché mobile, eracliteo, seguendo la logica e la dinamica del mondo» (p. 46).
Piuttosto che trasmettere la fissità del pensiero (delle idee), i suoni creano nuovi legami. «Il pensiero non induce più il suono, ma il suono induce i legami logici, confermando così le parole di Tzara che ‘il pensiero si fa nella bocca’» (p.54). Nel poema «Passionnément», analizzato foneticamente da Torlini, la vocalità è essenzialmente suono, consonanti, vocali, ripetizione di fonemi : durezza, dolcezza, chiusura, apertura, scivolamenti, collisioni. «Il balbettio riflette sempre una fedeltà al suono sia che la sua logica prevalga sulla logica testuale e semantica o no» (p.55).
Si nasce al mondo come poeti e questo spesso è anche scegliersi un nome, che, nel caso di Ghérasim Luca è uno smarrimento (égarement). Nel poema inedito “L’Altro Mister Smith” questo doppio, «demone sonoro», che è all’origine del nome permane in una volontà «schizofrenica creatrice», ma lontana «svuotata da ogni patologia» (p.72). Il poema diventa un atto di auto-creazione o contro-creazione attraverso la voce. «La liberazione viene dall’abbandonarsi al soffio, dal proferire, abbandono alla vita poetica che subentra alla strangolazione del nome» (p.74).

C’è l’analisi dei rapporti di Ghérasim Luca con l’avanguardia e le ‘reciprocità’, le vicinanze (B. Noël, C. Pennequin, B. Heidsieck) nella poesia contemporanea. In occasione dei festivals “Polyphonix”, il nome di Luca figurava sul versante italiano vicino ai nomi di Nanni Balestrini, Corrado Costa, Adriano Spatola. Come fa notare Torlini, la poesia di Luca appartiene di diritto alla poesia sperimentale.
Per C. Pennequin – tra le reciprocità contemporanee – «reintrodurre il grido nella parola e il gesto nell’azione… equivale a reintrodurre il pensiero nella massa delle informazioni dalle quali siamo sommersi, e che ci dicono come pensare, come agire, disegnare, parlare» (p.134). Per capire fino in fondo il legame con la poesia contemporanea di Luca: grido che tende al silenzio, ancora le parole di Pennequin: il poeta può «Anche restare muto. Dire che non può parlare. Che occorre tacere, una volta per tutte, nella parola» (p.136). Nella sperimentazione la poesia e la voce arrivano fino alla negazione di sé. In un recital di Pennequin, scrive Torlini « … la voce diventa sempre più grido… mentre il corpo s’immobilizza, quasi sconvolto : la voce diventa corpo, la voce incarna la soggettività intera. […]. Si tratta di far gridare la lingua, gridarla in un mondo che ci fa tacere, gridarla per coprire i rumori e le voci che invadono il soggetto».
C’è una pesantezza nella lingua (i codici) che dev’essere distrutta, per raggiungere la leggerezza del corpo (“son corps léger”), anche se questa impresa di distruzione genera nel poeta il dubbio su una possibile “Fine del mondo” con la fine di ogni lingua istituita (p.164).
Sulla scorta delle parole di G. Bataille sulla discontinuità degli esseri: il solo luogo di continuità, di relazione pura all’Altro, è la lingua frammentata e foneticamente balbettante del poema, là dove i detriti linguistici che la morte ci regala sono eco dell’essere (cf. p. 166).
La parola finale del libro è affidata C. Prigent che assegna alla poesia di dire l’innominabile. “ […] L’organizzazione simbolica come strutturazione e espansione del nominabile, lascia filtrare l’intuizione che c’è un innominabile e assegna alla letteratura il compito… di mantenere nel recinto del nominabile un’apertura innominabile, che è condizione di una giustezza del dire e possibilità disalienante (chance di sfuggire al luogo comune ideologico)».
La poesia non si dice, ma si fa, è atto.

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